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Figlio di un suonatore di corno, Giuseppe Antonio, e della cantante Anna Guidarini. 
Dal 1802 ricevette a Lugo l'insegnamento di G. Malerbi, studiò Haydn e Mozart e 
compose le Sei Sonate a quattro (1804). 
Nel 1806 scrisse la prima opera (Demetrio e Polibio, rappresentata nel 1812) ed entrò 
nel liceo musicale di Bologna, completandovi gli studi (anche di canto) con padre Mattei. 
Nel 1810, l'opera La cambiale di matrimonio, data al San Moisè di Venezia, fu il primo 
di una serie di successi che lo imposero sulle scene italiane fino al 1823. 
Le opere comiche L'equivoco stravagante (1811), La scala di seta (1812), La pietra 
del paragone (1812) e Il signor Bruschino (1813) sono tra le partiture più 
rappresentative della prima produzione rossiniana, in cui l'eredità della tradizione 
della scuola napoletana e, in particolare, di Paisiello si sposa felicemente con 
l'esperienza formale dei classici viennesi. 
Il 1813 segnò per Rossini il momento dell'acquisizione della maturità artistica. 
Nacquero, infatti, due capolavori: Tancredi e L'italiana in Algeri, cui seguì quel 
grande crescendo qualitativo che va da Il turco in Italia (1814), a Il barbiere di Siviglia (1816), a La gazza ladra e alla Cenerentola (1817), con la quale Rossini si congedò 
in pratica dal teatro comico. 

 

 

Queste opere costituiscono la conclusione e insieme il momento più alto della storia dell'opera buffa (a parte la precedente e diversa esperienza di Mozart): allargate 
le strutture settecentesche sino a far loro assumere dimensioni imponenti, l'opera si 
fissa in due atti (il primo più ampio e complesso, sia formalmente, sia concettualmente; 
il secondo liberatorio); i temi vengono approfonditi e sciolti dai limiti della satira di 
costume propria degli autori precedenti, in un'analisi sferzante dell'uomo e della sua dimensione storica; la musica, i personaggi, le scene assumono dimensioni universali. 

Negli stessi anni, la produzione seria, dopo Tancredi, si arricchì con Elisabetta regina d'Inghilterra (1815), Otello (1816), Armida (1817), Mosè in Egitto (1818), Ricciardo e Zoraide (1818), Ermione (1819), La donna del lago (1819), Maometto II (1820) 
e Zelmira (1822), opere in cui è sostanzialmente mantenuta la fedeltà agli schemi settecenteschi, pur nella dilatazione delle forme e nelle controllate aperture romantiche. 

Con Semiramide (1823), dove la perfezione formale giunge al massimo grado, Rossini concluse il periodo cosiddetto "italiano" (non privo di burrascose prime, come 
quella del Barbiere), che lo aveva visto lungamente impegnato con l'impresario 
Barbaja a Napoli e durante il quale aveva sposato (1822) il celebre soprano 
Isabella Colbran. 
Dopo una permanenza a Vienna (1822) e a Londra (1823-24), si stabilì a Parigi, 
dove rimase fino alla morte. 
Accogliendo prudentemente certi postulati romantici, in un ulteriore 
approfondimento drammatico e in grandi aperture verso le forme teatrali 
francesi (ma pur sempre radicato in tradizioni di stampo italiano), Rossini dette 
alle scene parigine una serie di opere a volte originali a volte tratte da precedenti 
lavori italiani ampiamente rimaneggiati: Le siège de Corinthe (1826, da Maometto II), 
Moïse et Pharaon (1827, da Mosè in Egitto), Le comte Ory (1828; Il conte Ory), 
prima opera interamente francese, e, da ultimo, Guillaume Tell (1829), grand-opéra in quattro atti, sorta di sintesi estrema del mondo fantastico rossiniano. 
Dopo il Guglielmo Tell, pur acclamato e ancora giovane, prese la decisione di 
abbandonare il teatro, cosciente di non poter accettare integralmente i nuovi 
orientamenti estetici. 
Rotti i rapporti con la Colbran, alla morte di lei (1845) sposò Olimpie Pélissier, 
cui era legato dal 1832. 
Frattanto, superata una malattia nervosa, aveva già iniziato quell'attività 
creativa semiclandestina che rivelerà alla fine staordinari valori, come risulta 
dai quattordici fascicoli dei Péchés de vieillesse, pezzi vari da camera in cui 
convivono reminiscenze del passato, ironici adeguamenti al presente, 
inquietanti aperture verso il futuro. 
Da queste esperienze "private", ma sostanzialmente legate ai più vivi fermenti contemporanei, nasceranno gli ultimi due grandi lavori: lo Stabat Mater (1841) e 
quella Petite messe solennelle (composta nel 1863, ma orchestrata nel 1867), vero capolavoro che, scavalcando il romanticismo, anticipa alcune soluzioni estetiche 
e formali proprie del Novecento. 

Il teatro rossiniano

Autore di trentanove opere teatrali, delle musiche di scena per l'Edipo a Colono 
(nella traduzione di G. Giusti), di ventitré cantate e di altra musica vocale-strumentale 
sacra e profana, di pezzi da camera e per pianoforte (tra cui i celebri Album pour les 
enfants adolescents e Album des enfants dégourdis), Rossini rappresenta, al di là 
delle deformazioni che ne sono state fatte nel sec. XIX, l'ultimo vertice e la sintesi delle esperienze operistiche settecentesche e il loro superamento in una direzione tanto 
più originale quanto più laterale e indipendente rispetto al filone principale del Romanticismo europeo. 
È indubbio che l'ambito nel quale più profondamente incise sul piano del gusto 
l'esperienza rossiniana fu quello dell'opera comica; anche se la sua lezione - dove 
si escludano fenomeni di puro epigonismo e gli isolati esempi donizettiani - non risultò 
in pratica suscettibile di sviluppi ulteriori e segnò, di fatto, la fine del genere. 
Il teatro comico rossiniano si presenta infatti anzitutto come modulazione ironica 
della struttura operistica buffa settecentesca, che viene privata di ogni adeguazione realistica per essere proposta in una dimensione volutamente 
convenzionale e paradossale. 
L'elemento oggettivante e straniante, rispetto all'azione e al libretto, è rappresentato 
dalla musica, che conferisce all'opera comica rossiniana il caratteristico ritmo 
incalzante (tale da travolgere i personaggi e da far esplodere come fuochi d'artificio 
le situazioni sceniche) e insieme esatto e geometrico, nonché la tonalità secca e agra, 
al limite del cinismo e della crudeltà: non a caso gli sviluppi estremi del teatro comico rossiniano (Le comte Ory) sembrano stabilire un naturale punto di aggancio con 
l'operetta francese. 
In un contesto neoclassico, anche più clamoroso sul piano dei risultati stilistici ed 
espressivi nonché ricco di momenti di folgorante bellezza formale, si collocano le 
opere serie di Rossini, che costituiscono un'esperienza di straordinario rinnovamento 
del teatro drammatico e che trovano nel Guglielmo Tell la realizzazione più alta ma 
anche più isolata e atipica. 
In quest'opera si ha la fusione irripetibile del clima grandioso ed estroverso del 
grand-opéra, grondante umori romantici, della purezza tutta italiana del segno 
vocale e del dionisiaco vitalismo ritmico delle precedenti esperienze buffe.

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