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Il rock non è nato dal nulla; anzi, si può dire che tra gli ingredienti del rock and roll che fa la sua prepotente apparizione sulla scena musicale americana alla metà degli anni cinquanta non vi sia, in fondo, niente di veramente nuovo. Era il 1954  e già da qualche anno la sigla “rock and roll” era in circolazione: un dj di Cleveland, Alan Freed, l’aveva lanciata all’interno di un programma in cui trasmetteva dischi di rhythm and blues per un pubblico bianco. Il rhythm and blues era un genere riservato ai neri; chiamarlo rock and roll era un modo per popolarizzarlo presso il pubblico bianco e, insieme, per neutralizzarlo. 

Artisti bianchi, infatti, cominciarono a produrre "cover" dei successi  di rhythm and blues che se ne tradivano lo spirito più autenticamente ribelle cominciavano ad abbattere i confini tra due tipi di pubblico che si servivano di prodotti diversi, come diverso era il colore della loro pelle.  Ed eccoci al 1954, al momento in cui entra in sala d'incisione Bill Haley, un artista che proveniva dal mondo del country, la musica bianca delle campagne statunitensi, ma che era attratto dalla forza espressiva degli artisti afroamericani. Haley registra Rock Around the Clock: è anche questa una cover, ma, caso raro, una cover nettamente superiore all'originale, inciso pochi mesi prima da uno sconosciuto gruppo rhythm and blues, Sonny Dae and the Knights. Il pezzo di Haley trionferà solo l'anno successivo; ma nel luglio di quel 1954 entra negli studi di registrazione della Sun di Sam Phillips un giovane che sarà presto il gigante del rock and roll: Elvis Presley. Presley incide due brani: That's All Right (Mama) e Blue Moon of Kentucky. Infine, mutamenti anche nel campo della musica nera, del rhythm and blues vero e proprio. Hank Ballard & The Midnighters incidono un pezzo, Work with Me Annie, che scandalizza il pubblico bianco (e trionfa presso il pubblico nero) con i suoi espliciti riferimenti sessuali; Ray Charles, con I Got a Woman , adatta un testo profano a una vecchia canzone gospel, creando un brano che è l'archetipo di ciò che sarà il soul.

Ma il rock ha anche una preistoria, con un pugno di precursori. Robert Johnson, innanzitutto, l'uomo che, secondo la leggenda, fece un patto con papa Legba, il demone che presiede i crossroads (termine da allora entrato nell'immaginario blues), vendendo la sua anima per ottenere i segreti della chitarra e l'arte del blues; Woody Guthrie, padre della canzone di protesta e del folk d'America, faro per artisti come Dylan, Seeger, Springsteen; Hank Williams, dallo stile vocale unico e dalla grande presenza scenica; Big Joe Turner, gigantesco shouter del Missouri dalla grande personalità e dallo splendido fraseggio; e un'altra manciata di nomi estratti dagli universi del country e del blues, paralleli fino a quando il piccolo chimico del rock non ha azzardato l'esperimento creando in provetta il vaccino contro la banalità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli anni che vanno dal 1954 al 1959 rappresentano la prima fase, i Golden Fifties. Un'epoca d'oro perché ha lastricato di quel metallo le strade più propriamente rock dei sessanta, che nei decenni successivi hanno lasciato partire mille diramazioni. E, oltre che una rivoluzione musicale, il rock and roll è stato, nell'America prima e nel mondo poi, la rivendicazione di un tempo nuovo, il presente, in contrapposizione piena a passato (rappresentato musicalmente dai crooners, i cantanti confidenziali alla Sinatra, e generalmente dal ricordo delle incertezze della seconda guerra mondiale) e futuro (che portava con sé due grandi paure: l'arrivo dei comunisti e la bomba atomica). Il rock and roll, con il suo rotear di bacino, con i suoi nonsense avevano per i teenager dei Fifties più significato di una dotta lezione universitaria, con la diversità dalla musica dei genitori (che per questo lo detestavano), con la sua carica sovversiva (per questo i genitori lo osteggiavano) è stata la prima ribellione musicale del dopoguerra

Altre sarebbero arrivate: la canzone di protesta le cui risposte soffiavano nel vento del Greenwich Village, la rivoluzione all'acido lisergico, il punk che prendeva a sputi e spilloni tutto quel che era venuto prima. Sono soltanto tre dei momenti che il rock ha regalato al sociale attraverso i decenni. Tutto è però partito da lì, dai luoghi dei Fifties: un rock che faceva il giro dell'orologio (Rock Around the Clock), un hotel dei cuori infranti (Heartbreak Hotel), una caramella tuttifrutti, grandi palle di fuoco (Great Balls of Fire) e qualche oltraggioso riferimento alla musica classica (Roll over Beethoven ).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Tra il 1954 e il 1959 (quando muore Buddy Holly e con lui si chiudono per sempre gli "happy days") sono racchiusi mille mondi e altrettanti nomi. Tra il 1954 ed il 1955 comunque accadono un paio di cose importanti: un timido giovincello chiede ad un produttore di poter incidere un disco da regalare per il compleanno della mamma, mentre un d.j., Alan Freed, imperversa sulla radio trasmettendo una musica che chiama rock'n'roll. Il giovanotto era Elvis Presley, Sam Phillips era il proprietario dello studio. Quest'ultimo aveva affermato: "Datemi un bianco che canti da nero e io ci faccio su un milione di dollari". Inopinatamente l'aveva trovato. Così inizia la leggenda di Elvis "The King" o "The Pelvis" per il modo provocante di ancheggiare nelle esibizioni: sarà il primo di un'infinita galleria di star con cui i giovani di volta in volta si identificheranno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Elvis Presley è il protagonista assoluto, ma emergono anche altri grandi personaggi.
Chuck Berry, primo rocker a scriversi il proprio repertorio, primo nero amato dai bianchi, è stato forse il miglior interprete dei sogni dei teenager americani. Johnny Cash, che è stato il pioniere che ha innervato di atipico ritmo le sonorità del country. Eddie Cochran, Gene Vincent e Carl Perkins hanno ottenuto molto meno di quanto avrebbero meritato. A eliminarli dalla corsa al titolo di Re del Rock furono tre incidenti: l'unico a morire fu Cochran (il primo, grande chitarrista bianco del rock and roll), a soli ventidue anni, ma Vincent (teso e nervoso, spigoloso come la sua Be Bop-A-Lula) e Perkins (autore, fra l'altro, di Blue Suede Shoes ) ne uscirono sì vivi, ma minati nel fisico e ormai incapaci di riacchiappare il treno giusto.

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

Bo Diddley ha messo in musica il lato più rimbombante, ossessivo e torbido del primo rock: un suono che è diventato marchio di fabbrica (il Bo Diddley Beat). A Fats Domino va riconosciuto il merito di aver evidenziato con il pennarello (nero) il nome di New Orleans sulle mappe della geografia musicale (bianca); gli Everly Brothersvanno ringraziati per la leggerezza vocale, strumentale e armonica.Jerry Lee Lewis fu una mistura tra country e boogie dettata da un pianoforte indemoniato. Ricca di boogie era anche la musica diLittle Richard, con in più, rispetto a Lewis, una solida matrice gospel e blues. Se qualcuno si chiede chi sia stato il padre putativo di Prince, non ha che da ascoltarlo.
Questi gli uomini che hanno cominciato a scrivere le prime parole di una lunga storia; ma perché il rock and roll diventi rock bisognerà attendere un'altra rivoluzione: quella degli anni sessanta.

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