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I Pearl Jam sono stati tra i maggiori rappresentanti del movimento grunge e sono gli unici che hanno continuato  ad avere successo anche dopo la fine del movimento stesso.  . Nati nel 1990 dalle ceneri dei Green River, da cui nasceranno anche i Mudhoney, e dallo scioglimento dei Mother Love Bone a causa della morte del cantante Andy Wod per overdose, i Pearl Jam fecero centro già al primo tentativo con l’album d’esordio “Ten”. Il rock duro e lineare e i testi tormentati ed emozionali della band, conquistarono la nuova generazione che fece vendere al disco oltre 11 milioni di copie, facendolo diventare, di fatto, il simbolo del grunge insieme a “Nevermind” dei Nirvana. In quel momento Seattle attirava le attenzioni di tutto il mondo e, quasi ogni band faceva un eccessivo uso di droghe limitando la loro carriera ad un massimo di due o tre dischi. L’abilità dei Pearl Jam fu di non perdere la rotta dopo il successo ottenuto, incidendo ancora due album di ottima fattura, “VS” nel 1993 e “Vitalogy” nel 1994. I Pearl Jam trovarono gli stimoli i e le motivazioni giuste per sopravvivere anche alla morte di Kurt Cobain, che sancì, in un certo modo, la fine del grunge e lo scioglimento di quasi tutti i gruppi migliori. La loro musica emotiva, le ballate elettro acustiche e i testi rivolti ad eloquenti denunce sociali gli hanno resi protagonisti assoluti del panorama rock mondiale.di tutti i tempi.

 

 

 

 

I Pearl Jam hanno avuto bisogno di un lungo tempo prima di affermarsi tra i principali gruppi del panorama musicale grunge. Oggi li consideriamo, non senza difficoltà, rappresentanti dell'aspetto hard rock seventies del fenomeno grunge. Dobbiamo ammettere che la loro musica non ha nulla a che vedere con la furia punk dei Nirvana o con l'heavy rock di Alice In Chains e Soundgarden, le altre band massimamente rappresentative del Seattle Sound. D’altronde, ammessa l’inesistenza di una matrice unica in quanto a caratteristiche espressive e formali nella musica grunge, due sono i dati certamente in comune a tutte le formazioni che l'hanno prodotta a partire dagli anni Ottanta: le origini nella città di Seattle (da cui appunto la definizione di "Seattle Sound") e il malessere di fondo, la disillusione, il graffio rabbioso nella voce dei suoi adepti. Attributi incontestabili dei Pearl Jam e del loro leader, Eddie Vedder.

 

La storia della band risale a quando il bassista Jeff Ament e il chitarrista Mark Arm formano i Green River nel 1984. Nonostante sia rimasto unito solo fino al 1987, la grande influenza di questo gruppo sul rock di Seattle degli anni '80 appare straordinaria.

Il cantante Andy Wood, Stone Gossard, Jeff Ament, Bruce Fairweather e Greg Gilmore hanno intenzione di proseguire l’opera dei Green River con i Mother Love Bone. Ma il 16 marzo 1990 Wood muore per overdose di eroina e il progetto abbandonato.

Ament e Gossard si riprendono dal tragico evento quando, insieme al chitarrista Mike McCready e a Matt Cameron (il batterista dei Soundgarden) incidono un nastro. Il demo finisce nelle mani di Jack Irons, ex drummer dei Red Hot Chili Peppers, e poi in quelle di Eddie Vedder, allora cantante per diletto nei Bad Radio.

In poco tempo, Dave Krusen rimpiazza Cameron alla batteria e Vedder trasforma i brani arrivatigli da Seattle in Mamasan, una sorta di operetta sui temi della sua adolescenza. Subito dopo sarebbe partito per quella che sarebbe diventata la città del grunge, dove sarebbe presto nato Ten, il primo album dei futuri Pearl Jam.

Inizialmente scelgono Mookie Blaylock, il nome di un famoso giocatore di basket, come proprio nome. Quasi subito, però, lo trasformano in Pearl Jam, in riferimento a una particolare marmellata allucinogena che Pearl, la nonna di Vedder, preparava con il peyote per il marito indiano.

Prima dell'esordio vero e proprio dei Pearl Jam nel 1990, Vedder, Ament, McCready e Gossard prendono parte al progetto Temple Of The Dog, in memoria di Andy Wood. Il disco diventerà un masterwork solo dopo l’esplosione del Seattle sound.

È del 1991, invece, la partecipazione (come comparse e autori della colonna sonora, insieme a Soundgarden, Alice In Chains, Mudhoney, Screaming Trees e Smashing Pumpkins) al film Singles, l'amore è un gioco, di Cameron Crowe, sulla gioventù di Seattle.

Tra il marzo e l'aprile del 1991 i Pearl Jam incidono Ten per la Epic (Sony). Il disco porta visibili tracce delle influenze del rock del passato: il drumming pesante alla maniera di John Bonam, i soli di chitarra alla Hendrix, la voce di Vedder che ricorda quella di Jim Morrison, le reminiscenze degli Who e del Neil Young più "elettrico".

Pur non presentando grandi innovazioni formali o sperimentazioni, Ten sa trasmettere attraverso un ottimo rock, a volte hard, l'atmosfera malinconica e disillusa tipica della poetica grunge. Anche i testi di Vedder sono fondamentalmente nichilisti, espressione di impotenza e rassegnazione.

Ten catapulta i Pearl Jam nell'olimpo del rock nel giro di pochi mesi, con un numero di copie vendute davvero notevole. Il successo dei singoli “Alive”, “Even Flow” e soprattutto “Jeremy”, forte di un video  massicciamente trasmesso da Mtv, spingono il disco in alto nelle classifiche. Significativa la partecipazione all’Mtv Unplugged in relazione ai successivi rapporti del gruppo con i media.

Nella primavera del 1993 i Pearl Jam tornano in studio per la registrazione del loro secondo lavoro, Vs. Con il nuovo produttore Brendan O'Brian cambia l'approccio con lo studio di registrazione: i brani vengono suonati praticamente live, con il minor numero di takes possibili e sovraincisioni ridotte all'osso. Per questo Vs risulta crudo e vigoroso, meno artefatto di Ten. Nei brani più pesanti ("Go", "Animal", "Blood") continuano a sentirsi le influenze del vecchio rock dei Led Zeppelin e di Hendrix, ma compaiono anche alcune ballate che fanno il verso ai Rem ("Daughter" ed "Ederly woman behind the counter in a small town"). L'album vende un milione di copie in una settimana con le sole prenotazioni.

L’improvviso successo crea delle tensioni all’interno della band e una crescente insofferenza nei confronti dei meccanismi promozionali dell’industria musicale. I Pearl Jam accendono una polemica, avanzata per vie legali, riguardo al costo eccessivo dei biglietti e al meccanismo di monopolio regolato dall’agenzia di prevendita Ticketmaster. Così, a partire da Vs., il gruppo decide di rinunciare ai videoclip dei singoli (scelta mantenuta sino al 1998) e per il tour del 1994 decide di non esibirsi nei grandi stadi, privilegiando le piccole arene.

Nel periodo della contesa in tribunale, i ragazzi di Seattle registrano il terzo album, al termine del quale Abruzzese viene licenziato a favore di Jack Irons. Vitalogy (1994) replica il successo planetario dei precedenti LP. Il lavoro, intriso di dolore e amarezza, colloca definitivamente i Pearl Jam tra le band contrarie al sistema e alle sue logiche.

Con  Mirror Ball (1995), che vede la collaborazione di Neil Young, il grande folk-rocker canadese passa pubblicamente la sua eredità musicale al gruppo di Seattle.

Nel 1996 esce No Code, disco sperimentale e dall'accentuato amalgama di rock e worldbeat, accolto con entusiasmo dalla critica e con delusione dai fan. Le vendite calano vistosamente, mentre il gruppo decide di non fare alcun tour.

Alla fine del '97 i Pearl Jam completano i lavori di Yield (1998). Il ritorno alle sonorità hard rock non riesce a riportare il gruppo ai fasti commerciali d'inizio carriera. Dal tour di supporto nasce Live On Two Legs (1998).

Nel 1999, la pubblicazione della hit dal tono pop Last Kiss (cover dell'omonimo pezzo J. Frank Wilson, anno 1964), inizialmente pubblicata come singolo per i membri del fan-club, li porta alla ribalta. Il brano diventa il singolo di maggior di successo dei Pearl Jam.

Il nuovo millennio si apre con l'uscita di Binaural (2000). Al disco segue il rilancio delle quotazioni della band e un tour mondiale di dimensioni ciclopiche. Ma proprio durante il tour, il 30 giugno del 2000, a Roskilde (Danimarca), nove spettatori delle prime file muoiono sotto la pressione delle file retrostanti. La tragedia è troppo forte. Qualcuno incolpa i Pearl Jam per l'accaduto, ma, a seguito di un'inchiesta, si scopre che le norme di sicurezza adottate dagli organizzatori del festival di Roskilde sono del tutto inadeguate.

In autunno, superato lo shock e chiarita completamente la propria posizione, il gruppo riparte per un lungo tour negli Usa. Per contrastare la pirateria musicale, la band decide di pubblicare un live album per ogni data del tour, sfornando così 72 doppi box-set con gli show integrali.

Il settimo lavoro in studio, Riot Act, risale al 2002. Un disco fortemente politico fin dal titolo, che si schiera con decisione contro l'amministrazione Bush e la sua politica all'indomani dell'11 settembre, e in cui i Pearl Jam ritrovano una carica e un'urgenza espressiva che non si sentiva dai tempi di Viltalogy.

Segue, nel corso 2003, un lungo tour in Nord America e Australia. Sempre nello stesso anno la band pubblica Lost Dogs, una doppia raccolta di pezzi inediti e b-side, e registra "Man Of The Hour" per la colonna sonora del film Big Fish di Tim Burton.

Nel 2004 i cinque musicisti partecipano al tour a sostegno del candidato democratico per le elezioni presidenziale John Kerry e fa uscire la raccolta Rearviewmirror: Greatest Hits 1991-2003.

Il 2005, oltre a un tour canadese e uno sudamericano, segna l'atteso ritorno in studio di Vedder e compagni per l’incisione di Pearl Jam (2006): un secco ritorno all'hard-rock d'inizio anni Novanta, intervallata da una serie di ballate tra le migliori di sempre. La critica esulta insieme ai fan, mentre il gruppo parte per un lungo tour mondiale.

Subito dopo l’Europa, segue il viaggio in Australia. A fine 2006, sul sito del fan club ufficiale compare Love Reign O'er Me, cover di un pezzo degli Who, incisa per la colonna sonora del film Reign Over Me. Mentre si vocifera dell'uscita di un nuovo DVD, contenente le ultime date italiane del gruppo, la band annuncia che ad agosto sarà l'headliner del Loolapalooza di Grant Park, a Chicago.

Nel frattempo Eddie Vedder si concede un riuscitissimo intermezzo solista, firmando la colonna sonora di Into The Wild, di Sean Penn. L’album è rock-folk, a tratti epico (“Setting Forth” e “Hard Sun”) a tratti riflessivo, tutto basato sull’efficacia del baritono di Vedder e di chitarre fingerpicking (“Long Nights” e “Guaranteed”, forse due delle migliori composizioni mai dispensate dal cantante dei Pearl Jam).

Altra vetta è la cover di “Society”, una collaborazione tra Vedder e l’autore Jerry Hannan.

Ma i Pearl Jam subiscono ormai un fisiologico calo dell'ispirazione. Dopo quasi vent'anni di produzioni, i loro ultimi lavori palesano uno standard abbastanza immobilistico, manierato, conservatore.

Backspacer (2009) denota una vena rock classica, con qualche recrudescenza punk, qualche tratto hard, la solita predisposizione al pathos, qualche episodio cantautorale.

La nuova uscita solista di Vedder, Ukulele Songs, offre una raccolta di brani per lo più originali (alcuni pienamente compiuti, altri veri e propri schizzi), altri già editi e alcune cover, tra cui la "Dream A Little Dream" di chiusura. Vedder punta tutto sull'aspetto intimo e lirico, sacrificando di contro ricchezza e varietà musicale. A metà tra il divertissement e il disco da cantautore "adulto", Ukulele Songs si pone come un'opera per certi versi minuta, introspettiva, ma che trae giovamento da un senso di leggerezza insospettabile, eppure dominante sopra ogni contenuto.

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