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iI fratelli Paul e Phil Hartnoll hanno scritto alcune delle pagine più importanti dell'elettronica inglese degli anni '90. Travolti dall'ondata techno acid house in voga sul finire degli anni '80, gli Orbital iniziarono a produrre una musica ipnotica ricche di incalzanti spirali elettroniche che subivano alternativamente le influenze del rock e dell'ambient. Il loro sound, lanciato verso il futuro ma nello stesso tempo in grado di conservare gli stereotipi della musica del passato, ha saputo conquistare molteplici tipologie di fans provenienti da molti generi musicali diversi. 

DISCOGRAFIA ESSENZIALE

 

 

Green Album, 1991) si apre con Belfast, che pian piano prende forma da un gorgo di tastiere criptiche , come in una sorta di nascita miracolosa di un qualche corpo celeste; nel finale, il rallentamento progressivo è una sorta di riposo dopo l’estasi della creazione. La forza compositiva della formazione si concretizza efficacemente in The Moebious, che accumula percussioni e linee ritmiche, mentre Speed Freak aumenta velocità e diventa ipercinetica nel suo incalzare. Fahrenhiet 3d3 è forte soprattutto della singhiozzante linea vocale, mentre i dodici minuti di Desert Storm sono un pretesto per mutazioni sotterranee e variazioni minimali (anche se forse non tutta la durata del brano è giustificata). Oolaa e Chime sono, nell’economia dell’opera, numeri fin troppo semplici e prevedibili. Satan indovina qualche bel collage di samples e Choice è adatta ad incendiare i dancefloor ma quello che più colpisce di questo esordio è l’attenzione prestata alla struttura dei brani, complessi ed elaborati, seppur ancora macchiati da qualche calo qualitativo.

 

 

Il secondo album (conosciuto come Brown album, 1993) perfeziona la loro formula di chirurgia musicale. Lush 3-1 e Lush 3-2 colpiscono l’anima con ritmi mutevoli, echi alieni, melodie ammalianti, velocità sostenute nel compendio di questa Techno raffinata, sospesa fra estasi New Age e ritmo da discoteca. Molto più avventurosi sono i quasi dieci minuti di Planet Of The Shapes, che si apre su droni cosmici, e poi si disperde fra paesaggi interplanetari, battiti ossessivi, echi e riverberi eterni, tastiere fra il misterioso ed il fantascientifico: una sinfonia elettronica che descrive l’Universo. Il ritmo palpitante di Impact regala altri dieci minuti memorabili mentre le tastiere si preoccupano di mimare suoni extraterrestri. Remind è così un tuffo psichedelico per adrenalina pura, una colonna sonora per l’estasi di tutti i sensi, una iper-stimolazione sensoriale che immerge al centro di uno “sballo” collettivo. Walk Now ed il sound cupo del basso di Monday portano sino a Halcyon (9 minuti e mezzo), forse il capolavoro più lucente di quest’album ed uno dei massimi capolavori della Ambient/Techno. Un tappeto di soffi cosmici, un piano che accompagna gorgheggi impalpabili, un basso ed una base ritmica che si aggiungono con eleganza in un ipnotico ciclo di ripetizioni e di incalzanti accelerazioni sono il DNA di un brano fulgidamente emozionante, prima che certosinamente studiato. Musica ritmica ed incalzante, ma anche musica astratta, meditativa, visionaria. Gli Orbital riescono a fondere corpo ed anima in uno stile che in modo sublime condensa le sperimentazioni della Techno di inizio anni ’90 in brani articolati e complessi, che diventano neutri tappeti emozionali dove la mente può vagare liberamente, fra richiami indiani, musica tibetana, Ambient.

 

 

Snivilisation (1994) amplia lo spettro dei generi ed azzarda ancor di più nella miscelazione. L’Ambient algida di Forever, il basso infrasonoro di I Wish I Had Duck Feet, i rumori industriali di Sad But True sono un buon campionario dell’ampliamento realizzato. Per giungere al primo brano entusiasmante, però, si deve aspettare Crash And Carry, che ritrova velocità, impeto e “groove” ipnotico. Kein Trink Wasser stupisce con l’apertura al pianoforte e Quality Sound ricorda più gli Anthrax che i Kraftwerk. L’opera è inferiore alla precedente, seppure più ambiziosa e anarchica, tuttavia i due pezzi che la concludono ne aumentano molto la caratura. I 15 minuti di Are We Here, fra spigoli e melodie, infarciti di ritmiche D’n’B, e soprattutto i dodici minuti di Attached, un altro trip lisergico per spazi sconfinati, concludono positivamente l’opera.

In Sides (1996) è in un certo senso il lavoro conclusivo della loro carriera. Pubblicato su tre LP con una traccia per ogni lato di ogni vinile, da cui il titolo, contiene composizioni meticolosamente arrangiate che sono più sinfonie classiche che ballabili da discoteca. I dieci minuti abbondanti di The Girl With The Sun In Her Head, forse il momento dove tutta la loro arte compositiva meglio si coagula, l’elettronica robotica di PETROL, i dodici minuti di The Box, un carillon spettrale, sono tutti momenti da ricordare. Impalpabile ed eterea anche Dwr Budr. Più cosmica Adnans mentre appare maestosa nei suoi 23 minuti totali Out There Somewhere: tutto l’album, però, non aggiunge qualcosa alla loro musica che si possa ritenere rivoluzionario o anche significativamente innovativo; si tratta di un perfezionamento, un apice di pulizia formale, ma anche un momento di sostanziale stasi evolutiva e persino segnato da qualche piccolo momento di prolissità. In Sides, ad ogni modo, è un modello di album Techno che potrebbe rappresentare un punto di riferimento per tutta la musica “ballabile” futura, una maestosa opera riassuntiva di questa Ambient/Techno complessa ed elegante.

 

 

The Middle Of Nowhere (1999) prosegue lo studio assiduo dell’elettronica ballabile, ma la loro arte diventa progressivamente sempre più un solo gioco di manierismo e di sperimentazione e sempre meno qualcosa di riconducibile alla Techno delle discoteche. Way Out e Spare Parts Express aprono l’opera su buoni livelli, Know Where To Run rende ancora più futuristico il loro sound e I Don’t Know You People fagocita disparati generi differenti (Techno, Drum’n’Bass, Pop). I sedici minuti di Nothing Left sembrano una copia un po’ più sbiadita dei capolavori del passato. Nel complesso, è l’album meno valido dall’inizio della loro carriera, ma è pur sempre un’opera piacevole.

The Altogheter (2001) inizia invece a segnare il limite della loro crisi artistica: brani come Tension (che campiona Surfin’ Bird) e Oi! sono semplici esercizi di disimpegno per una band del loro calibro. Tutto l’album si muove in arrangiamenti poco entusiasmanti, ritmiche opache e la latitanza di idee fresche e coinvolgenti. Solo Doctor conserva le vestigia del glorioso passato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Octane (2003) è una mediocre colonna sonora vicina all’Ambient.

Blue Album (2004) conclude la carriera con molti deja vu e qualche momento intrigante. Alcuni brani sono semplicemente richiami al loro stile classico. Acid Pants, Pants, Initation e One Perfect Sunrise sono brani che potrebbero appartenere ad una decade fa. Più interessante il delirio fantascientifico di Transient e la Techno mutante di You Lot, fra ritmi ballabili, gorgheggi alieni e delicatezze da Classica. La musica senile di Easy Serv si scorda più volentieri dell’atmosfera industriale di Lost. I Prodigy ed il Big Beat ispirano invece la possente Tunnel Vision, non certo all’avanguardia, ma piacevole.

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