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LE RADIO LIBERE

 

Dalla metà degli anni '60 stava nascendo nei giovani in tutta Europa una voglia di radio, intesa come sorgente di intrattenimento, musica e anche informazione non controllata dai vari governi. Nel paese europeo leader allora nella libertà e nel progresso dei costumi, la Gran Bretagna, questa voglia era stata soddisfatta dalle cosiddette radio pirata (Radio Caroline, Radio Veronica) e la stessa cosa avveniva in altri paesi del Nord Europa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

All’inizio degli anni '70 si crearono le condizioni per la radiofonia privata nei principali paesi europei, con l'Italia in prima fila per numero di emittenti e numero di ascoltatori . Questo faceva seguito alle dure contestazioni del 68’ e successivamente del 72, anni in cui la voce operaia e giovanile fecere tremare e cadere numerosi governi. Nelle rivendicazioni di quegli anni c’era il grande desiderio di crescita della libertà individuale, ed oggi possiamo dirlo, anche il desiderio di poter scegliere in autonomia le fonti di informazione.

 

Già dal 1974 l'attacco al monopolio in Italia era nell'aria e numerosi operatori si stavano preparando a sfidare la legge e incunearsi nelle sua contraddizioni. La prima in assoluto ad iniziare le trasmissioni è stata Radio Parma, il 1 gennaio del 1975. Protagonisti della storica iniziativa sono stati Virgilio Menozzi, l'imprenditore che finanziò l'avventura (poi protagonista anche della nascita di Radio Roma), il giornalista Carlo Drapkind che ne era il direttore responsabile e l'esperto radioamatore di Parma Marco Toni che curò e realizzò la parte tecnica, mettendo in funzione un trasmettitore di potenza relativamente limitata (22W) ma sufficiente per coprire la maggior parte della città emiliana.  Il palinsesto, come per tutte le radio dei primi tempi, era assai completo e debitore del modello RAI, con programmi di informazione, approfondimenti e cronache locali.

 

 

Per coprire le ventiquattrore naturalmente la musica era fondamentale. Sarebbe stato difficile riempire il palinsesto soltanto con trasmissioni autoprodotte, con inchieste giornalistiche o con tutte le altre tipologie di trasmissioni che faceva tipicamente la radio di Stato, quindi il palinsesto della radio libere era essenzialmente costituito da musica di vari generi e stili, strutturata per rubriche (la rubrica di musica classica e di jazz  e naturalmente tanto rock, tanti cantautori, e la musica del momento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fino alla sentenza 202/1976 della Corte Costituzionale (28 luglio 1976) le radio trasmettevano utilizzando una interpretazione estensiva della legge allora vigente (la 103/1975) e quindi erano esposte a denunce e sequestri. Nonostante ciò molte radio trasmettevano con regolarità, e a Roma a fine 1975 erano già presenti almeno 11 radio.

 

Il costo di un impianto di trasmissione a norma e di qualità (trasmettitore entro gli standard, potenza adeguata, emissione stereo) poteva arrivare intorno ai 50 milioni di lire di allora, ma utilizzando apparecchiature elettroniche usate (a volte di provenienza militare) o riadattate o limitando la potenza si poteva partire anche con 5 milioni. L'esercizio poteva costare intorno ai 5-10 milioni al mese, nel caso delle rare radio che retribuivano i collaboratori. Per radio con impianti più economici, ospitati in sedi varie (per esempio parrocchie o sezioni di partito) e ricorso al volontariato si poteva scendere di molto nei costi iniziali e ricorrenti.

 

Quella stagione venne celebrata dalla canzone di Eugenio Finardi "La radio", che enfatizzava la radio come strumento di informazione libera e "non invasiva", ed esprimeva l'entusiasmo per un nuovo strumento di comunicazione.

 

Nel 1976 aprire una radio in Italia era una operazione al limite della legalità,

la Corte Costituzionale tornò sull'argomento per rispondere a numerose eccezioni di incostituzionalità o richieste di parere di pretori di tutta Italia e dichiarò inammissibili, con la storica sentenza 202/1976 del 28 luglio 1976, le parti delle leggi in vigore che vietavano le trasmissioni in ambito locale, confermando la interpretazione estensiva della legge 103/1975 e dando il via definitivo alla radiofonia privata in Italia.

 

 

Nella radiofonia privata degli anni 70 il problema era rappresentato dall'eccessivo affollamento nelle grandi città e dalla parallela assenza totale di un piano delle frequenze, essendo il quadro legislativo ancora quello dei tempi del monopolio.

 

La radio libera era una emittente di piccole dimensioni sia in termini di studio radiofonico, antenna di trasmissione, che di costi di gestione, in grado di coprire un'area di pochi chilometri quadrati, spesso interna ad una città. Di solito trasmetteva in modulazione di frequenza (FM), una tecnologia fino ad allora poco sfruttata, che garantiva una qualità più elevata.

 

Le radio libere erano un modo per contrastare quel controllo continuo dominante sulla musica, ma soprattutto un modo per esprimere le proprie idee, per dar voce a quel silenzio che spesso imperversava nelle maggiori città del pianeta. I conduttori delle radio libere trascorrevano giornate intere al microfono e imbastivano “fili diretti” con i radioascoltatori, creando una vera e propria comunicazione diretta.  Ogni parola  poteva essere ascoltata e condivisa da tutti, e tutti potevano esprimere in diretta le loro idee e opinioni.

la radio divenne  il “verbo magico” di quegli anni e la sua liberalizzazione espresse il bisogno i delle masse di non essere più soltanto soggetti passivi della comunicazione, ma di impadronirsene per far ascoltare la propria voce. Il localismo si affermò come valore autonomo contro l‟egemonia nazionale.

 

Negli gli anni ‟80, la logica del mercato spazzò via, se non totalmente, quella freschezza insita nel progetto delle radio libere. I fenomeni di massa e la smania per le novità, misero in crisi tutto il sistema legato alle radio libere, facendolo rimanere soltanto un capitolo di bellissimi ricordi  nelle pagine di questa fantastica storia.I costi di gestione misero in crisi molte di quelle radio, alcune passarono nelle mani dei partiti,  altre divennero delle vere e proprie imprese commerciali. 

 

 

 

A 40 anni di distanza, nessuno pensa più alle radio come radio libere, ma solo come radio commerciali. E purtroppo proprio le esigenze commerciali hanno livellato lo standard verso i gusti musicali più comuni, e hanno allontanato ogni velleità di sperimentazione.
 

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